Facebook Party: l’omologazione dell’individuo è una forma di dittatura

Questa settimana, per la prima volta ospito un amico sul blog, Carmelo Schininà. Già giornalista del Radiocorriere TV, oggi in redazione di Omnibus, il fortunato programma mattutino della 7 condotto dal direttore Antonello Piroso, cantautore (conoscete alcuni suoi pezzi, credetemi, solo che non sapete che sono suoi), mi ha mandato un articolo nato da una discussione telefonica su Facebook, i nuovi media, il Grande Fratello (quello di Orwell, di 1984, non della TV).
Vi avviso, è un pezzo forte e controcorrente, ma forse proprio per questo voglio condividerlo con i lettori: se qualcuno non pensa in maniera differente, magari con un suo punto di vista originale, non condiviso, tagliente, ci perdiamo tutti.
Buona lettura, ci rivediamo nei commenti.


“Per me è sempre stato così. L’uomo ha in qualche modo “scelto” un certo regime autoritario, dittatoriale. Perché ne sente il bisogno, deve essere educato da qualcuno, come un bambino. E non solo all’epoca del totalitarismo, quando un nazionalismo esasperato per motivi storico-culturali prefigurava, prevedeva, pretendeva tutta quella serie di fattori sociali che avrebbero “giustamente” portato a una dittatura. Ma anche adesso, nel nostro occidente democratico, post-atomico, quello dello sviluppo delle scienze e della tecnica che ha innalzato lo spirito umano verso irraggiungibili latitudini di libertà. Libertà di stampa, di pensiero, d’espressione e di tutto ciò che ha contribuito a creare “l’uomo nuovo” post-sessantottino. L’uomo libero per antonomasia.

E proprio oggi questa libertà “totale” sta diventando un libertà “totalitaria”. Si sta ripiegando su stessa, come l’antico simbolo dell’ uroboro, trasformandosi in omologazione. Certo, non c’ è uomo che non sia figlio del suo tempo e quindi in qualche modo “omologato”. Ma a farne le spese oggi siamo noi figli dei figli dei fiori, figli degli “uomini nuovi”. Oggi, come ha scritto in un interessantissimo articolo Umberto Galimberti comparso tempo fa su Repubblica (La tribù dei prevedibili) accade che, rispetto alle epoche che l’ hanno preceduta, “la nostra è la prima a chiedere l’omologazione di tutti gli uomini come condizione della loro esistenza”. Galimberti parla di “coscienza conformista” atta solo a compiere collaborazioni in un apparato e in funzione dell’apparato. E sui mezzi di comunicazione come mezzi di omologazione, scrive: “la società conformista, nonostante l’ enorme quantità di voci diffuse dai media, o forse proprio per questo, parla nel suo insieme solo con se stessa. Alla base infatti di chi parla e di chi ascolta non c’ è, come un tempo, una diversa esperienza del mondo, perché sempre più identico è il mondo a tutti fornito dai media, così come sempre più identiche sono le parole messe a disposizione per descriverlo. Il risultato è una sorta di comunicazione tautologica, dove chi ascolta finisce con l’ ascoltare le identiche cose che egli stesso potrebbe tranquillamente dire, e chi parla dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque. In un certo senso si può avanzare l’ ipotesi che la diffusione dei mezzi di comunicazione, che la tecnica ha reso esponenziale, tenda ad abolire la necessità della comunicazione perché non si dà esigenza di comunicazione là dove non v’è differenza tra le esperienze del mondo, che sono alla base di ogni bisogno comunicativo”.

Mi sembra interessante partire dal pensiero di Galimberti per estendere il concetto di “coscienza conformista” alle forme di omologazione che nascono dagli attuali Social Network. Uno su tutti? Facebook. Il più frequentato del mondo, creato dal più giovane “networkista” del mondo. Una piattaforma online nata nel 2004 con lo scopo di far mantenere i contatti tra studenti di università e licei di tutto il mondo, attraverso la “condivisione” di fotografie, e diventata, in meno di due anni, una rete sociale che abbraccia trasversalmente tutti gli utenti di internet. La mia non vuole essere un invettiva intellettualoide sul concetto di “condivisione” il cui alto valore umano chiaramente si perde se rapportato esclusivamente alla rete (anche perché io stesso sono uno dei tanti “iscritti” su Facebook), né un atteggiamento anticonformista alla Massimo Fini, del quale non avrò mai la statura intellettuale. Ma una riflessione su come questo tipo di condivisione in rete, che a mio avviso in certi casi è “conforme” al ridicolo (uno esempio su tutti? l’obbligo a parlare in terza persona nel messaggio di presentazione), contribuisca a replicare interminabili catene di dna dell’effimero nel momento in cui si cerca di celebrarla. Qualche giorno fa a Roma è stato organizzato il primo Facebook Party. L’idea è stata di tre ragazzi, è bastato un giusto passaparola in rete e i tre organizzatori hanno raccolto tremila persone. Ebbene, sono andato anche io. A spingerci fuori dal social network è stata la curiosità. Solo quella perché non si sapeva praticamente nulla di cosa ci avrebbe aspettato. E cosa ci aspettava? Il nulla. Hanno presenziato all’evento tutti i tg e i principali quotidiani italiani. Per vedere cosa? Niente. Solo ragazzi comuni trasformati per una notte in vere star, che posavano per i fotografi e rilasciavano interviste. Sorridevano davanti ai flash, felici di essere usciti dall’anonimato. Non più solo foto, nomi e un lungo elenco di amici virtuali, adesso persone vere in carne ed ossa che ballavano al ritmo del “tagga-tagga” dello speaker, del Dj Patrik del Grande Fratello, sotto una cornice di immagini di Briatore che scorrevano, didascaliche, su un mega schermo.

Eccola, la celebrazione dell’effimero, voluta, imposta da quel Grande Fratello orwelliano che, a mio avviso, è sempre stata la società moderna. Io ho pensato a Leopardi. Si lui, Giacomo. Magari vestito trendy e con gli occhiali da sole. L’avrei voluto veder salire sul bancone, dare un calcio in culo allo speaker e mandarci tutti al diavolo, scacciarci come i mercanti dal tempio. Mi viene in mente “il nulla e la poesia”, il saggio di Emauele Severino sul grande poeta come pensatore del nulla, dove la poesia rappresenta l’ultima illusione di salvezza offerta agli uomini, oltre il fallace ottimismo alimentato dal paradiso della scienza moderna e della tecnica. Leopardi filosofo dunque, non poeta. Verrà il tempo in cui qualcuno ci libererà dall’egemonia delle “psicologie dell’ adattamento”, il cui implicito invito è di essere sempre meno se stessi e sempre più congruenti all’ apparato, ci scaccerà come mercanti dal tempio, per poi (magari senza volerlo), innescare col proprio potere una nuova spirale di effetti negativi.

Se nel secolo scorso Marx poteva dire che la maggioranza dell’ umanità “non aveva niente da perdere tranne le sue catene”, oggi si dovrebbe dire che senza queste catene essa non avrebbe di che sopravvivere. Come smontare quanto detto fin’ora? Semplicissimo: basta dire “sta zitto stronzo, gli utenti di Facebook sono delle belle persone. Giovani tranquilli con tanta voglia di divertirsi e socializzare”.

14 commenti

  1. Molto interessante.
    Però secondo me gran parte di questa prospettiva parte da un presupposto che non trova riscontro pieno nella realtà: gli uomini non saranno mai uguali né il mondo unico. Per quanto la tendenza possa essere questa.

    In effetti non esiste globalizzazione ma glocalizzazione (Castells docet), ad esempio. Lo stesso avviene su Facebook: come ogni strumento non è neutro (McLuhan e Innis), ma di certo quello che genera dipende molto di più dall’utilizzo che se ne fa.

    Il punto secondo me è egregiamente riassunto da Philip K. Dick: la verità è che l’essere umano è abbastanza stupido da sfuggire ad ogni tendenza di irreggimentamento, pianificato o casuale che sia. La stupidità esattamente come l’intelligenza, crea delle eccezioni alla norma, se la norma è una tendenza omologante di qualsiasi natura, ecco che la presenza dell’eccezione la invalida. Perché una tendenza omologante per dispiegare i suoi effetti richiede di agire sulla totalità.

    A ciò si aggiunge che una tendenza verso qualcosa, non è quel qualcosa verso cui tende. Quindi approcciarsi ad una tendenza come se fosse un fatto compiuto rischia solo di generare millenarismi che poco ci permettono di capire davvero.

    Concludendo: il valore di quello che esula dai nostri orizzonti, che comunemente viene chiamato caso, è sempre l’elemento chiave: del resto lo stesso Facebook è nato con uno scopo e una struttura anni luce differenti. Si è evoluto in modo abbastanza contingente. Questo intendeva il buon vecchio Dick: anche il piano più preciso e perfetto non si realizza mai nei termini in cui è pensato (il modello cinese Yin-Yang ha davvero molto da insegnare a noi occidentali).

    Quindi resto fiducioso: in ogni epoca il mondo si è avviato allo sfacelo, e siamo ancora qui. Non è detto che l’esito sarà questo sempre, ma se dovessi scommettere giocherei tutto sul fatto che al massimo saremo costretti sempre a reinventarci. Il nulla non può vincere, perché il nulla è come il buio: per essere davvero tale deve essere totale. Altrimenti basta anche solo una debole fiammella ed ecco che il buio non è più tale.

    E un mondo di un solo colore, qualsiasi esso sia lo ritengo improbabile

    PS: apprezzo anche io molto quello che scrive Galimberti, soprattutto in questi tempi bui. Ma occorre non dimenticare che i tempi bui sono relativi alla nostra civiltà/contesto. Fuori c’é la maggioranza del mondo che vive senza conoscere facebook né l’economia finanziaria, e che campa da millenni. Non si sta sfasciando il mondo. Ma solo uno dei peli delle sue ciglia. Cose che capitano. Di certo ne crescerà un altro.

    Ti sono davvero riconoscente per l’ottimo spunto e ringrazio Roberto per averti ospitato.

  2. L’omologazione dell’individuo va a pari passo con la crisi dell’individuo, quindi non riesco a giudicare… Quando le persone iniziano a non avere più un “credo”, diventa la cosa più logica attaccarsi alla massa… Il pensiero comune è “se sbaglio io, sbagliano tutti, e io non ho la responsabilità”… Questo è il mio umile credo…

  3. Caro Mushin,
    io critico solo la “tendenza” ad omologarci. Perfettamente d’accordo con te quando dici che gli uomini non saranno mai uguali, nè il mondo mai unico. Più che facebook come social network, critico la sua celebrazione…vuota e inconsistente. Celebrazione che, credimi, ci spinge all’omologazione più crassa e tenebrosa.

  4. Io non sono certo fra i celebratori di Facebook. Però per me è una specie di piazza. Di certo ha l’enorme merito di essere, almeno per gli europei-occidentali, la piazza più frequentata.

    Sono d’accordo che poi in questa piazza si tenda a non fare nulla di edificante per sé e per l’umanità, ma questo mi fa pensare subito ad una potenzialità non sfruttata che si può ancora cogliere, piuttosto che ad una deviazione maligna connaturata nel mezzo. Facebook spinge al cazzeggio ma può essere usato diversamente.

    Forse le risorse necessarie ad un buon “utilizzo diverso” sarebbero eccessive e più ottimale sarebbe raderlo al suolo e affidarsi ad altro, ma ripeto: al momento mi affascina la sua capacità di riuscire ad avere così tanti iscritti, specie fra i non web-addicted.

    Ma il mio distinguo – ripeto – è solo un dettaglio in un discorso che condivido: la celebrazione (così come il millenarismo) di qualcosa è SEMPRE un fenomeno che non condivido perché mi sembra a priori inidoneo a produrre qualcosa di buono.

  5. Mi sembra un pochettino limitante questa visione, questa “tendenza” ad omologarci. Limitante perchè la tendenza mi sembra che ci sia sempre stata. Semmai ho la netta impressione che si tenda in tanti di creare “piccole sacche di omologazione”, giustamente il saggio Mushin l’ha chiamata tendenza alla glocalizzazione, e condivido. Nascono, da anni, piccole o grandi comunità sul web, il mio primo “raduno” con amici del web l’ho fatto ben 5 anni fa, e alcuni di loro parlavano quotidianamente in terza persona su IRC dal 96… Voglio dire, come Facebook ci sono altri mille fenomeni simili, dai Giochi di ruolo a siti orrendi come Badoo, la “sostanza” non cambia, è gente che si incontra e sperimenta la novità. Sono omologanti anche i raduni degli Alpini, o le feste per la promozione/salvezza delle squadre di calcio…Anche li non accade nulla, o sbaglio? Eppure si sente l’esigenza di riunirsi, festeggiare, non fare nulla ma “in compagnia” pensando di essere parte di un evento che in realtà non esiste. Non ci vedo nulla di nuovo, anzi forse qualche piccola nota positiva, un’omologazione “attiva” la chiamerei, in perfetto possesso degli strumenti per valutarne i pro e i contro. Quando sono nato a Catania non ho avuto molta scelta per decidere che ero “devoto di Sant’Agata” e “tifoso del Calcio Catania”. Data l’esigenza dell’omologazione come necessaria nelle persone, direi che almeno la possibilità di creare nuove omologazioni ogni giorno è una grande opportunità

  6. Non fraintendere ciò che ho scritto. Ripeto, la mia critica è mossa solo nei confronti della CELEBRAZIONE di un social network come Facebook. Non ho detto che FACEBOOK OMOLOGA L’INDIVIDUO ma la sua celebrazione, in quel modo là: con le immagini di Briatore, il tagga-tagga, la musica da disco in sottofondo. Diverso è andare a ballare in discoteca, invece. Critico la celebrazione del nulla, dell’effemiro. Perchè 3000 persone che vanno ad un raduno dove non c’è assolutamente nulla, un raduno che celebra il niente per me è controproducente. Ben vengano quelli sugli alpini, quelli sui giochi di ruolo, le feste salva squadra di calcio, Santagata e il Catania Calcio.. cose completamente diverse.

  7. In effetti si tratta di punti di vista, non credo di aver frainteso: omologarsi al nulla cos’ha di diverso? Quel che ho elencato per me è il nulla comunque, non viene dall’individuo, è omologazione, e come dimostra la festa facebook non importa il contenuto. Almeno, pensavo si capisse quanto ho scritto (ma farsi capire dicendo qualcosa di non omologato è una dura battaglia, e bisogna saperla combattere)

  8. Bel pezzo, Carmelo! Finalmente qualcuno che ha la mente “sveglia”…mi trovi d’accordo su tutto.

  9. la differenza tra facebook e un cimitero? in facebook le foto parlano della loro vita presente, nel cimitero di quella passata!

  10. comunque parlare di passato e presente è già diverso, anche perchè s facebook si può comunque parlare di futuro.
    Io lo trovo molto utile, se non indispensabile nel mio caso. Da 3 anni viaggio in africa come operatore umanitario, conosco un sacco di gente con cui vivo esperienze super, spesso molto brevi, e con cui vogio tenere i contatti Ugualmente non posso permettermi di essere a tutti i concerti de mio gruppo preferito come facevo quando stavo in italia … quindi ben venga un’alternativa che va a completare mail-skype e il blog. Basta limitarne gli abusi.

  11. Sono d’accordo con l’autore di questo articolo. Viviamo in un’ epoca intellettualmente vuota e sterile. Nel caso specifico italiano, trovo ignobile che un social network come facebook, con migliaia e migliaia di iscritti, nel momento in cui organizza un raduno di giovani non ne approfitti per sensibilizzarli su temi importanti, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo vivendo.

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